Il secolo breve del social dilemma
Dieci anni di deregulation delle piattaforme hanno generato un "caos semantico e sociale", determinando "una resa assolutamente instabile e sociopatica della socialità umana".
“Dal venire incoraggiati a recensire ogni prodotto acquistato fino al credere che ogni tweet o immagine su Instagram meriti mi piace commenti o follower, i social media hanno prodotto una resa assolutamente instabile e sociopatica della socialità umana”.
Sono parole scritte qualche anno fa dal critico di The Atlantic Ian Bogost. Considerazioni che ci dicono quanto il social dilemma sia ancora attuale, alla luce delle profonde trasformazioni che hanno interessato i social network. E mettere in discussione questo sistema e il loro percorso di sviluppo non è mero passatismo, secondo Davide Piacenza, autore della newsletter Culture Wars.
“Ogni progresso tecnologico - scrive - nasce da un’idea volta a migliorare la vita dell’essere umano, ma quell’intuizione va poi sostenuta, instradata e controllata nella sua evoluzione applicativa: a distanza di un decennio di quasi totale deregulation delle piattaforme, invece, ci troviamo nel caos semantico e sociale, incerti anche della possibilità di conoscere qualcosa di diverso da ciò che è stato scelto per noi, di valicare il confine della nostra bolla”.
Dieci anni dove i social hanno cambiato pelle e noi con loro, mentre le nostre conversazioni coinvolgono le intelligenze artificiali. Una storia di lunga fascinazione quella degli umani per le macchine parlanti, raccontata magistralmente da Jill Lepore su The New Yorker.
Un decennio dove le stesse piattaforme di streaming sembrano aver cambiato tutto per non cambiare nulla, tanto che secondo un’analisi de Il Post tendono ad assomigliare alla vecchia tv, con il modello di business che “gradualmente sta passando dall’avere sempre più abbonati a trattenere quelli che ci sono assicurandosi che guardino i programmi, in modo che gli spazi pubblicitari abbiano un valore”.
Dieci anni di social dilemma dove l’aspetto del consumo è diventato dominante: “L’importante non è comunicare con gli altri - scrive ancora Piacenza - ma produrre engagement e contenuto da diffondere il più possibile”. Al punto che, scrive Priscilla De Pace, “una nuova forma di scambio si sta facendo strada nella cultura del consumo. Ha a che fare con l’acquisto, certo, ma soprattutto con la costruzione di un legame intimo tra consumatore e marchio, basato sul desiderio di comunità, su una complicità di valori, su un irrevocabile patto di fedeltà. Qual è il costo invisibile della lealtà? I dati, ovviamente. L’acquisto è incoraggiato, ma non indispensabile. Eppure continui ad acquistare e fidelizzarti, perché la fedeltà è l’unica promessa di futuro rimasta”.
Una slot machine che ha automatizzato i nostri mondi interiori. Un gigantesco sistema tecnologico-consumistico-comunicativo, a cui sembriamo essere assuefatti, al punto da ritenerlo immutabile. “La ragione di questa impotenza - scriveva lo storico Eric Hobsbawm - non sta solo nella profondità e complessità delle crisi mondiali, ma anche nel fallimento apparente di tutti i programmi, vecchi e nuovi, per gestire o migliorare la condizione del genere umano”.
THE WALRUS
THE COLLAPSE OF SELF-WORTH IN THE DIGITAL AGE
Thea Lim
Internet è progettato per impedirci di spegnerlo. Viaggia alla velocità della luce, con metriche in continua evoluzione, alimentato da "'loop ludici”. Funziona come una slot machine, una macchina che ha automatizzato i nostri mondi interiori: “Non dobbiamo scegliere cosa ci piace, o nemmeno se ci piace; l'algoritmo sceglie per noi”. Tutto questo produce un collasso dell’autostima, perché il sé, per dirla con Flaubert, non è più l’opera. I dati lo hanno trasformato in mera metrica, misura incostante di valore. Al punto che questa ossessiva quantificazione del successo sta progressivamente minando la nostra capacità di autovalutarsi.
GUERRE DI RETE
COME I GIORNALISTI POSSONO USARE I LEAK (E QUALI PROBLEMI CI SONO)
Philip Di Salvo
I leak sono diventati una parte importante del giornalismo contemporaneo. Possono essere fondamentali per indagare su questioni di interesse pubblico, come la corruzione, i crimini di guerra e i diritti umani. Tuttavia potrebbero essere anche uno strumento disinformazione o la destabilizzazione dei governi. “Quando i giornalisti lavorano con fonti hacker, è importante che rimangano scettici”, puntualizza Miacah Lee, autore di Hacking, fughe di dati e rivelazioni. “Indipendentemente da chi siano gli hacker a diventare le nostre fonti, queste persone o gruppi hanno sempre un’agenda. Quindi è importante capire quali siano le loro motivazioni e i loro pregiudizi, e poi essere trasparenti al riguardo con il pubblico. Proprio come per qualsiasi altra fonte, gli hacker potrebbero mentirti, quindi è importante essere certi dell’autenticità dei dataset e verificare la veridicità di tutto ciò che viene pubblicato”.
CULTURE WARS
CRITICARE I SOCIAL NON È PASSATISTA
Davide Piacenza
"Non è vero che la critica riservata alle piattaforme – o, in parte, agli smartphone – è solo un’altra iterazione dei soliti rimbrotti nostalgici che i nostri nonni riservavano al rock, ai personal computer o ai videogiochi. Ogni progresso tecnologico nasce da un’idea volta a migliorare la vita dell’essere umano, ma quell’intuizione va poi sostenuta, instradata e controllata nella sua evoluzione applicativa: a distanza di un decennio di quasi totale deregulation delle piattaforme, invece, ci troviamo nel caos semantico e sociale, incerti anche della possibilità di conoscere qualcosa di diverso da ciò che è stato scelto per noi, di valicare il confine della nostra bolla. E finché i soloni del nuovismo oltranzista – che d’altronde posiziona, porta like e gratifica, perché è in tutto e per tutto parametrato alla superficialità marziale della viralità – non inizieranno a farsi qualche domanda in più, dubito che ne usciremo presto”.
Culture Wars è una newsletter del network Newsletterati
THE NEW YORKER
IS A CHAT WITH A BOT A CONVERSATION?
Jill Lepore
È una lunga storia di fascinazione quella degli umani per le macchine parlanti. Un’ossessione che si snoda nei secoli, dai primi automi concepiti nel ‘700, ai tentativi di replicare artificialmente la voce umana durante l'800, fino ad arrivare all’intelligenza artificiale e ai moderni chatbot. “Mio dio parla!”, esclamò l’imperatore del Brasile Dom Pedro quando sentì la voce di Alexander Bell attraverso il telefono. Nacque così quello che la ricercatrice Sarah Bell chiama “Effetto Pedro”, cioè “l’attitudine delle persone ad attribuire molta più comprensione e autonomia alle macchine di quanto sia giustificato quando i suoni prodotti da macchine possono essere interpretati come parole riconoscibili.” E benché nel 1977 l'ingegnere del MIT Joseph Weizenbaum bollasse come "oscena" qualsiasi iniziativa che proponesse "di sostituire con un sistema computerizzato la funzione umana che comporta rispetto interpersonale, comprensione e amore”, il nostro atteggiamento verso chatbot e assistenti vocali sembra ancora nella scia dell’effetto Pedro. Conversazioni “umane” con le intelligenze artificiali, che stanno già contribuendo a modificare il nostro modo di relazionarci, comunicare e pensare.
IL POST
PERCHÉ LE PIATTAFORME DI STREAMING SEMBRANO SEMPRE DI PIÙ LA VECCHIA TV
Il modello di business gradualmente sta passando dall’avere sempre più abbonati a trattenere quelli che ci sono assicurandosi che guardino i programmi, in modo che gli spazi pubblicitari abbiano un valore. Contestualmente, cambia anche l’investimento sulle novità. Per anni le piattaforme hanno puntato sulla vittoria di premi e quindi sulle serie di grande prestigio di cui tutti devono parlare e su cui si scrivono articoli, quelle che conferiscono loro un certo status e una buona reputazione. Quel tipo di produzione continua ad avere un senso, ma sempre di meno. Tanto che a spopolare sono vecchie serie di stampo generalista come Ncis, Criminal Minds, Grey’s Anatomy e Gilmore Girls.
LINK
ALTA FEDELTÀ
Priscilla de Pace
Una nuova forma di scambio si sta facendo strada nella cultura del consumo. Ha a che fare con l’acquisto, certo, ma soprattutto con la costruzione di un legame intimo tra consumatore e marchio, basato sul desiderio di comunità, su una complicità di valori, su un irrevocabile patto di fedeltà. “Qual è il costo invisibile della lealtà? I dati, ovviamente. L’acquisto è incoraggiato, ma non indispensabile. Eppure continui ad acquistare e fidelizzarti, perché la fedeltà è l’unica promessa di futuro rimasta. Nell’orizzonte privo di possibilità del presente, ti manda una notifica che è uno spiraglio di luminosa speranza. Per un attimo, intravedi la possibilità di un nuovo sconto, un biglietto del cinema gratis, una maglietta che ironizza sulle tue adiposità, un piccolo impulso dopaminico in un momento di vuoto”.
IL TASCABILE
L’AUTUNNO FINIRÀ
Roberto Inchingolo
Nel "falso autunno", le piante perdono le foglie in anticipo a causa del caldo e della siccità. Un fenomeno che sta determinando la scomparsa della stagione, con una conseguente accelerazione del ciclo di vita delle piante e un impatto sull’intero ecosistema naturale: le foglie cadute forniscono nutrienti al terreno, che a sua volta aiuta gli alberi a crescere. Inoltre aiutano a prevenire l'erosione del suolo. La scomparsa dell'autunno ha anche conseguenze per la fauna selvatica. Molti animali si affidano alle foglie cadute per il cibo e per il riparo. E l’assenza di foglie rosse impatta sul turismo e il nostro stesso immaginario.
PEKINOLOGY
CHINESE ESPRESSO: CONTESTED RACE AND CONVIVIAL SPACE IN CONTEMPORARY ITALY
Il bar è una pietra angolare della vita urbana italiana, un simbolo del Bel Paese e del suo buon vivere. Eppure l'espresso in Italia viene sempre più preparato da baristi cinesi in bar gestiti da cinesi. In questo libro Grazia Ting Deng esplora il paradosso dell'espresso cinese: il fatto che questa tradizione sociale e culturale italiana così peculiare venga preservata dagli immigrati cinesi e dalla loro clientela etnicamente eterogenea. “L'esistenza dell'espresso cinese rappresenta le nuove caratteristiche della vita urbana postmoderna e postcoloniale, all’interno di una società pluralista dove gli immigrati assumono ruoli tradizionali pur essendo considerati come altri. La storia dei baristi cinesi e dei loro clienti, sostiene Deng, trascende la narrativa eurocentrica dominante delle relazioni tra immigrati e società ospitante, complicando la nostra comprensione delle dinamiche culturali e della formazione razziale all'interno delle mutevoli realtà demografiche del Nord del mondo.”
THE ATLANTIC
AN INTOXICATING 500-YEAR-OLD MYSTERY
Ariel Sabar
Da secoli, il manoscritto Voynich affascina e confonde gli studiosi. Il testo, risalente al XV secolo, è scritto in una lingua sconosciuta e illustrato con immagini bizzarre di piante, corpi celesti e figure femminili. Il manoscritto è stato a lungo oggetto di speculazioni, con teorie che spaziano da antiche lingue dimenticate a codici crittografici. Recentemente, ci sono stati tentativi più scientifici per decifrarlo, utilizzando tecniche di linguistica computazionale e analisi crittografica, ma il testo rimane un enigma. Molti hanno tentato di interpretarlo: alcuni lo vedono come un trattato medico, mentre altri suggeriscono che potrebbe essere un almanacco astrologico o un'opera esoterica. Recentemente la medievalista di Yale Lisa Fagin Davis ha ipotizzato che il manoscritto potrebbe essere stato il frutto del lavoro di più persone, poiché sono presenti differenze stilistiche nella calligrafia. Un enigma che continua ad alimentare curiosità e immaginazione.