L'IA ucciderà i giornali?
Gli editori stringono accordi commerciali con le società dell'IA, ma il rischio è di ripetere gli errori del passato. La posta in gioco è che tipo di giornalismo si vuole realizzare.
Un’intelligenza artificiale per generare ulteriore massificazione e mercificazione dei contenuti? Oppure per creare diversificazione, selezione e giornalismo di qualità? “Quale è il tipo di giornalismo che si vuole produrre? Quali gli impegni in tema di obiettività e trasparenza? La scelta non dipenderà dall’intelligenza artificiale, ma dagli editori”. È questa la domanda che ci consegna l’articolo di Bruno Saetta, con il quale apriamo questo numero di Binario ONLIFE, dove proviamo a riflettere su come il giornalismo e il mondo dei media affrontano e affronteranno la “breccia” tecnologica, culturale e sociale prodotta dall’IA. Una “breccia” che esige un ritorno e una riscoperta dell’umano, dello stesso cuore umano della tecnologia, rileva Marisandra Lizzi. Un tema che sarà al centro del talk L’uomo al centro di tanti relazioni: la relazione con l’IA”, sabato 29 giugno, in occasione di Riflessioni lagunari - Festival di Antropologia Culturale a Venezia.
L’approccio attuale non può che destare preoccupazione: la corsa di diversi editori a stringere accordi tecnologici e commerciali con le aziende che si occupano di IA pare a tutti gli effetti un déjà vu, tanto più preoccupante, alla luce di quello che è successo in passato. “L'industria dell'informazione - scrive Jessica Lessin su The Atlantic (magazine che ha appena siglato una partnership con OpenAI) - si trova in questa situazione pericolosa, ancora una volta, in parte perché manca di un'attenzione a lungo termine e di pazienza strategica. Le soluzioni sono tutt'altro che chiare. Ma la risposta a questo momento complicato è ovvia: gli editori dovrebbero essere pazienti e astenersi dal concedere in licenza i loro contenuti per pochi spiccioli”.
Tanto più in uno scenario attuale dove Google detiene il 90,8% del mercato dei motori di ricerca, Amazon è attore dominante nel mercato degli e-commerce e del cloud, Meta raggiunge con le sue varie piattaforme (Facebook, Instagram, Whatsapp) la cifra di 3,9 miliardi di persone. Un leviatano tecnologico, secondo Cory Doctorow, alla base di un regime di monopolio/oligopolio da cui discendono tutti i rischi legati al mondo digitale
Non ci sono soluzioni facili, se non continuare a sperimentare nuove rotte e modelli: “L’attenzione e l’advertising sono e saranno sempre più in mano alle piattaforme - rileva Valerio Bassan - quindi per le testate dipendere dagli introiti derivanti dalla pubblicità e dalle sue fluttuazioni è una scelta sempre più rischiosa. I media di informazione dovranno inventarsi nuove forme di ricavo per spostare progressivamente la dipendenza da banner e video ads verso qualcos’altro: abbonamenti, servizi per le aziende, e-commerce, eventi, formazione, cosa che in parte sta già avvenendo.
“I giornali - prosegue Bassan - dovranno infatti abituarsi all’idea di una riduzione del pubblico sui loro siti e sviluppare strategie che gli permettano allo stesso tempo di conoscere meglio e di fidelizzare al massimo i lettori”. È il modello della revenue reader sperimentato per esempio dalla testata tedesca Die Welt: prodotti editoriali di minori dimensioni, ma capaci di ingaggiare i lettori e creare community. Un approccio che sembra funzionare secondo l’ultimo Digital News Report realizzato dal Reuters Institute.
La transizione tecnologica innescata dall’IA e il predominio algoritmico del resto stanno modificando lo stesso settore degli influencer, originando una new wave di culture creator, impegnati in un’attività che si può considerare vecchia come il mondo: “la curatela che consiste nel saper filtrare il rumore".
Gli editori, afferma Lessin, “dovrebbero proteggere il valore del loro lavoro e dei loro archivi. Dovrebbero avere l'integrità di dire no. È semplicemente troppo presto per andare con quelle aziende che hanno costruito i loro modelli su contenuti professionali senza autorizzazione e che non hanno argomenti convincenti per aiutare a costruire il business delle notizie.”
Buona lettura!
P.S. Julian Assange è libero. Come ha scritto Arianna Ciccone, “è un gran bel giorno per la libertà di informazione e per i diritti umani. Una grande vittoria per la democrazia e la giustizia dopo anni di ingiustizia. Julian Assange è libero. Come abbiamo detto in tutti questi anni al International Journalism Festival e su Valigia Blu e come ho ribadito anche quest'anno a #ijf24 durante l'incontro con Emiliano Fittipaldi sulla tutela delle fonti e la libertà di informazione a rischio, il caso Assange non avrebbe mai dovuto nascere. Mai una democrazia dovrebbe mettere sotto accusa atti giornalismo”. Su Prospect Magazine la riflessione dell’ex direttore del Guardian Alan Rusbridger
ELLISSI
L’HO LETTO SU GOOGLE
“Cosa succederà quando arriveremo al Google Zero, il momento in cui il motore di ricerca più usato al mondo porterà ‘zero click’ al resto del Web?” Editori e giornali devono attendersi uno scenario apocalittico? “L’attenzione e l’advertising sono e saranno sempre più in mano alle piattaforme, quindi per le testate dipendere dagli introiti derivanti dalla pubblicità e dalle sue fluttuazioni è una scelta sempre più rischiosa. Allo stesso modo, sperare di trovare un nuovo e salvifico ‘generatore di click’ che riempia il buco lasciato da Google non sembra una grande strategia. I media di informazione dovranno inventarsi nuove forme di ricavo per spostare progressivamente la dipendenza da banner e video ads verso qualcos’altro: abbonamenti, servizi per le aziende, e-commerce, eventi, formazione, cosa che in parte sta già avvenendo. I giornali dovranno infatti abituarsi all’idea di una riduzione del pubblico sui loro siti e sviluppare strategie che gli permettano allo stesso tempo di conoscere meglio e di fidelizzare al massimo i lettori”.
THE ATLANTIC
PUBLISHERS STRIKING AI DEALS ARE MAKING A FATAL ERROR
Jessica Lessin
“Il fatto che le aziende del settore dei media si precipitino a fare questi accordi dopo essere rimaste scottate dagli accordi tecnologici del passato è quanto mai preoccupante. L'industria dell'informazione si trova in questa situazione pericolosa, ancora una volta, in parte perché manca di un'attenzione a lungo termine e di pazienza strategica. Le soluzioni sono tutt'altro che chiare. Ma la risposta a questo momento complicato è ovvia: gli editori dovrebbero essere pazienti e astenersi dal concedere in licenza i loro contenuti per pochi spiccioli. Dovrebbero proteggere il valore del loro lavoro e dei loro archivi. Dovrebbero avere l'integrità di dire no. È semplicemente troppo presto per andare con quelle aziende che hanno costruito i loro modelli su contenuti professionali senza autorizzazione e che non hanno argomenti convincenti per aiutare a costruire il business delle notizie.”
VALIGIA BLU
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE UCCIDERÀ I GIORNALI?
Bruno Saetta
“L’utilizzo dell’IA generativa potrebbe portare ad un incremento della massificazione e mercificazione dei contenuti. In un settore dove ormai i contenuti, le notizie, sono già ampiamente generici e quindi altamente sostituibili, per cui di scarso valore, questo probabilmente porterà ad un ulteriore decadimento della qualità. In un secondo scenario l’IA potrebbe essere utilizzata per differenziare i contenuti, per fornire qualcosa che emerge dalla massa informe delle notizie che vediamo ogni giorno, per le quali spesso gran parte del pubblico non ha alcuna voglia di pagare. Quale è il tipo di giornalismo che si vuole produrre? Quali gli impegni in tema di obiettività e trasparenza? La scelta non dipenderà dall’intelligenza artificiale, ma dagli editori”.
PRESS GAZETTE
GERMANY’S WELT MOVED FOCUS FROM VOLUME TO VALUE AFTER HITTING 200,000 SUBSCRIBERS
Charlotte Tobitt
La testata tedesca Die Welt vista l’impossibilità di accrescere la sua base di abbonati, ha deciso di puntare sui ricavi, e non sulla quantità, per creare “una comunità di lettori - scrive la newsletter Charlie - più coinvolta, soddisfatta e fedele, anche se più ridotta”. Secondo il direttore del quotidiano Falk Schneider l'attuale strategia,"il fatturato prima del volume", deve acquisire maggiori ricavi dai clienti esistenti, offrendo nuovi prodotti e servizi a pagamento, e anche qualità giornalistica. Un approccio suffragato dai dati dell’ultimo Digital News Report, che mostra come il modello basato sulla reader revenue, con prodotti editoriali di minori dimensioni, può funzionare.
THE NEW YORKER
THE NEW GENERATION OF ONLINE CULTURE CURATORS
Kyle Chayka
“Siamo in una fase di transizione della cultura digitale e quindi abbiamo più che mai bisogno di facce amiche, di guide umane che ci aiutino a navigare in questo campo insidioso. Queste guide hanno molti nomi: influencer, creatori di contenuti o semplicemente ‘il tipo che seguo’. Guidati dal loro senso del gusto, portano al pubblico notizie e approfondimenti in una particolare area culturale, che si tratti di moda, libri, musica, cibo o cinema. Forse il modo migliore per pensare a queste guide è come a dei curatori; come un curatore di museo che mette insieme le opere per una mostra, organizzano la valanga di contenuti online in qualcosa di coerente e comprensibile, ripristinando il contesto mancante e costruendo narrazioni. Mettono in evidenza contenuti preziosi, che spesso sfuggono”. Secondo Andrea Hernández, titolare di Snaxshot, “la curatela consiste nel saper filtrare il rumore". Un approccio che sta portando a superare la classica definizione di influencer del passato, perché questa new wave di culture curator è più orientata verso l'esterno, a una narrazione che va oltre i confini personali.
WIRED
ALTRO CHE CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA: IL VERO NEMICO DEL DIGITALE SI CHIAMA MONOPOLIO
Andrea Daniele Signorelli
E se il potere del capitalismo della sorveglianza fosse sopravvalutato? Se la vera minaccia per i diritti e la privacy di ciascuno di noi fosse molto più a valle e la tecnologia c’entrasse solo fino a un certo punto? Insomma se Shoshana Zuboff, nel suo famoso saggio (Il capitalismo della sorveglianza) non avesse centrato il bersaglio?
Secondo Cory Doctorow il problema, che sta alla base anche del capitalismo della sorveglianza, risiede nel “dominio monopolistico dei sistemi informativi”, che “ha effetti massicci e duraturi. (...) Se la nostra preoccupazione è il modo in cui le aziende ci precludono la capacità di decidere autonomamente e di determinare così il nostro futuro, l’impatto della posizione dominante supera di gran lunga quello della manipolazione e deve essere al centro della nostra analisi”.
ATMOS
INSIDE ADIRA: WHERE QUEER AND TRANS ARABS CAN HAVE IT ALL
Khaled A.
Il festival di Berlino coinvolge ogni partecipante in un'intera giornata di spettacoli, workshop e panel sul trucco delle drag, sulla letteratura araba queer e sulla musica pop. Una manifestazione che, in linea con l’attivismo politico drag, viene utilizzata per reclamare gli spazi da cui le persone queer e trans sono state storicamente escluse. ADIRA condivide questa stessa visione per ricordare le radici di questa pratica e come si possa, anche solo per un giorno, lavorare insieme per un mondo in cui il dominio occidentale sulle nostre vite e identità sia intenzionalmente sradicato e respinto.
IL TASCABILE
POPOLI DELL’INCOLTO
Adriano Favole
“Forse non è la coltivazione in sé a creare un discrimine nella storia umana. Non credo - scrive Adriano Favole in La vita selvatica - che l’agricoltura sia necessariamente l’origine dell’Antropocene, il punto di inizio di una storia che porta fino al riscaldamento climatico in atto. Fu il cambiamento del nostro rapporto con l’incolto il grande discrimine. Fu, come sostiene Amitav Ghosh in La maledizione della noce moscata, l’imporsi di una visione dell’altro-umano (i primitivi, i selvaggi) e dell’altro non umano (l’ambiente) come ‘cose’ da sfruttare, risorse da estrarre, a segnare quell’inizio […]. Fu il passaggio da forme di convivenza con l’incolto – con o senza agricoltura – a cosmologie e forme di produzione che assolutizzarono il ruolo dell’essere umano nell’universo a creare le condizioni per uno sfruttamento senza fine – o meglio, fino alla fine – dell’incolto o di ciò che ne resta nelle profondità della Terra. La creazione di un muro tra Natura e Cultura fu parte di questo processo”.
LUCY SULLA CULTURA
ALESSANDRA BOARETI, LA PRIMA DONNA IN CIMA AL MONVISO
Irene Moro
“Alessandra Boarelli sale sul Monviso come io andavo in montagna prima dei vent’anni: senza farsi troppe domande. È il 1864, il Regno d’Italia esiste da poco, le donne non votano e sicuramente non scalano le vette. Attività fisica ed esplorazione non si addicono al corpo femminile, che deve mantenersi protetto ed essere consacrato alla procreazione. Le faticose salite implicano sudore, tensione e una vicinanza con i compagni che, a metà Ottocento, è tacciata di promiscuità. Eppure Alessandra sale sul Monviso, semplicemente perché il Monviso è lì e lei sa camminare in salita”.
EVENTI
Fano - Paesaggi Festival (da mercoledì 26 a domenica 30 giungo)
Venezia, Hotel Villa Orio e Beatrice - Riflessioni lagunari Festival di Antropologia Culturale (sabato 29 giugno)
Ostana (Cuneo) - Premio Ostana (da venerdì 28 a domenica 30 giugno)
MOSTRE
Venezia, Fondazione Cini - Alex Katz Claire, Grass and Water (fino a domenica 29 settembre)
Rovereto, MART - Surrealismi. Da de Chirico a Gaetano Pesce (fino a domenica 20 ottobre)